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Buddismo violento in Asia: preoccupazione in Vaticano

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Nel continente che accoglierà Bergoglio, monaci aggressivi in Sri Lanka e Myanmar rischiano di minare l’armonia religiosa

AP/LAPRESSE
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E’ quell’estremismo che non t’aspetti, derivazione di una religione, quella buddista, che fa della nonviolenza un assioma centrale della sua dottrina. Omicidi, aggressioni, atti di intolleranza, sotto gli occhi increduli della comunità internazionale, si registrano in due paesi asiatici, lo Sri Lanka e il Myanmar (l’ex Birmania), entrambi a maggioranza buddista, legate alla tradizione spirituale Theravada. Monaci singalesi imbracciano la lancia e urlano slogan di odio e intolleranza; un leader arancione birmano , Ashin Wirathu, che si definisce orgogliosamente il “Bin laden d’Asia”, si guadagna la copertina del “Time” come nuovo “volto del terrore buddista”; famiglie aggredite e uccise, in entrambe le nazioni, solo perchè di religione musulmana, o chiese e fedeli attaccati solo perché seguaci di Cristo. Perfino un monaco buddista, Wataraka Vijitha Thero, artigiano del dialogo, percosso e tramortito dai suoi “colleghi” nell’ex Ceylon perché ritenuto “traditore”. Tali rigurgiti di estremismo buddista sono una nota stonata per la Chiesa cattolica, che nei due paesi in questione è una esigua minoranza (7% in Sri Lanka, l’1% in Myanmar) ed è fattivamente impegnata nel dialogo interreligioso. Tanto più questi episodi, che non accennano a smettere, destano preoccupazione perché dal 13 al 15 gennaio 2015 lo Sri Lanka ospiterà Papa Francesco, capo di stato ma anche capo religioso, leader universale di quella fede che i colonizzatori, prima portoghesi e poi britannici, vennero a imporre 400 anni fa nel subcontinente indiano con la forza dei cannoni.

Indunil Janaka Kodithuwakku, sri lankese, solidi studi in sociologia e missiologia, oggi sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, parlando a Vatican Insider non nasconde i suoi timori, ma rimarca: “In Sri Lanka i buddisti violenti sono solo piccoli gruppi, dietro i quali vi è spesso la mano invisibile della politica. Molti altri monaci e importanti leader hanno condannato pubblicamente la violenza e promuovono una nazione pluralista e inclusiva”. Ma perché questa esplosione di intolleranza? “Bisogna guardare il fenomeno dal punto di vista storico”, prosegue don Janaka. “Il buddismo si è rivelato un fattore cruciale nel definire l’identità singalese. Il colonialismo è una ferita storica ancora aperta: per quattro secoli la maggioranza singalese è stata sottomessa e si è poi affrancata grazie al contributo decisivo del buddismo. Oggi si fa strada una sorta di psicosi verso altre religioni come quella islamica e quella cristiana. Nel 2004, ad esempio, venne proposta una legge, rilanciata anche nel 2012, che impediva le conversioni da una fede all’altra. I buddisti oggi intendono salvaguardare la cultura del paese, di cui la loro religione è elemento essenziale. Per questo alcuni gruppi promuovono un’interpretazione della dottrina di Buddha che giunge erroneamente a giustificare la violenza”.


– Fonte : Lastampa
– Leggere il fine www.lastampa.it




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