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“Buddha non è un brand”, sì della Cassazione al lounge bar di Milano: vince sul tempio di Parigi

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Le atmosfere cool del Buddha bar di Parigi saranno pure esclusive e riconoscibili in tutto il mondo, ma il nome è per tutti. Perché Buddha non è “il marchio di un prodotto o un servizio”, ma una divinità non riducibile a marketing. Lo ha stabilito la Cassazione dando il via libera al Buddha-cafè di Milano, vincente nella battaglia legale con la società che gestisce il ‘tempio’ parigino e che edita le famose compilation di musica ‘downtempo’. D’altronde, spiegano i supremi giudici, non si può ragionare in termini di brand, perché vorrebbe dire “offendere il sentimento religioso dei buddisti”: “vedrebbero la loro guida spirituale ridotta a logo distintivo di un café-restaurant, per quanto dalla formula di indubbio successo”.

Con il verdetto 1277 – depositato oggi dalla Prima sezione civile – la Suprema Corte ha respinto dunque il ricorso con il quale la società George V Eatertainment e la George V Records della babilonia sonora dall’atmosfera asiatica di rue Boissy-d’Anglas volevano impedire a un imprenditore italiano di chiamare il locale ‘Buddha café’, sfruttando l’appeal evocativo riconosciuto in tutto il mondo. Secondo i giudici, nessuno può pretendere di usare il nome di Buddha come se si trattasse di un banale brevetto, perché questo riferimento semantico – scrive il relatore Nello Nappi – “evoca non solo una religione, ma comunica adesione o comunque interesse per una filosofia e uno stile di vita connotativi di un costume pertinente ormai alle più diverse manifestazioni dell’agire sociale, dalla letteratura alla musica, dalle arti figurative alla cucina, tanto da essere divenuto una moda”. Per questo il diritto di sfruttamento commerciale di questa figura carismatica, che conta nel mondo milioni di persone che seguono la saggezza della sua filosofia, non può essere dato in concessione a un singolo imprenditore o a una compagine societaria.

Senza successo, dunque, i francesi hanno sostenuto – in Cassazione – che il locale milanese di Via Elvezia utilizza una “abusiva riproduzione” del marchio del locale parigino. Ad avviso dei francesi, marchi complessi come quello del ‘Buddha-bar’, “devono essere esaminati nel loro insieme, in modo che risulti evidente la capacità distintiva ascrivibile alla parola ‘Buddha’ ove associata alle parole ‘bar o café'”. “Perché si tratta di marchi particolarmente suggestivi – hanno insistito – e quindi forti: instaurano una connessione anomala tra parole concettualmente sconnesse”. Proprio per questo, hanno proseguito i legali delle due ‘George V’, già numerose sentenze in Italia e nel mondo (Buddha-bar fratelli di quello parigino sono stati aperti in molte città, da Mosca ad Abu Dhabi) hanno riconosciuto la tutela a questi marchi “in ragione della notorietà derivante dall’uso cui sono stati destinati” dagli inventori
francesi del locale fondato nel 1996 dal deejay franco-tunisino Claude Challe. I buddisti, inoltre, hanno fatto presente i francesi, non si sono mai lamentati.

La Cassazione non ha condiviso le obiezioni e ha detto no alla “degradazione a una funzione meramente descrittiva” del nome del Buddha che non è quindi un marchio. Chi vuole può usarlo. Il ricorso dei francesi era già stato respinto dalla Corte di Appello di Milano nel 2010.


Fonte : La Repubblica


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