Il buddismo raccontato a un ragazzo
Di seguito è possibile leggere una breve intervista, uscita su un giornalino scolastico di Piacenza, nella quale Jiso Forzani prova a raccontare a un ragazzo di sedici anni che cos’è il buddismo. Ci piace proporla ai nostri lettori proprio per la sua freschezza e semplicità.
Domanda: Puoi dirmi in forma semplice e comprensibile che cosa è il buddismo?
- Risposta: “Penso si possa definire buddismo tutto ciò che è nato, si è formato e si è sviluppato a partire dall’esperienza di intuizione a proposito della realtà che Sakyamuni Gotama ha fatto e ha poi descritto circa 2500 anni fa in India. Sulla base di quell’esperienza è stato chiamato “Buddha” – il “Risvegliato” – cioè una persona che ha aperto gli occhi e per la prima volta ha “visto” la realtà come è e non solo come sembra essere, e poi per tutta la vita ha continuato a vivere in modo risvegliato. I buddisti (passati, presenti, futuri) sono coloro che si fidano dell’esperienza di Sakyamuni e del modo in cui ci ha indicato la via per viverla a nostra volta. Direi quindi che per definirsi buddisti ci vogliono tre cose: la fede, intesa come spinta a trovare una direzione nella nostra vita, perché sentiamo il bisogno di un orientamento, e come fiducia in chi ci indica una direzione; la pratica, intesa come impegno personale a percorrere la strada che va in quella direzione; la verifica, cioè il renderci conto se davvero stiamo camminando su quella via e se davvero quella via va nella direzione promessa. Non si tratta quindi di riporre la propria fede in un santo indiano, ma in noi stessi: questo è ciò che quel santo indiano ci annuncia.
Domanda: In che modo una persona si può veramente definire un monaco buddista a tutti gli effetti; cosa è che lo distingue?
- Risposta: Un monaco è la persona che lascia la sua casa per andare a vivere, a seconda delle diverse tradizioni, o nella foresta o in un monastero (da solo o in compagnia di altri come lui). In origine monaco buddista era la persona che lasciava la sua casa per seguire la via indicata da Buddha, vivendo di elemosina. Nel corso della storia si sono poi formate delle scuole o tradizioni ciascuna delle quali ha stabilito le proprie regole. A seconda dei paesi e delle diverse scuole buddista, la regola differisce: ci sono ancora tradizioni in cui i monaci vanno a vivere nella foresta e si procurano il necessario solo con l’elemosina (Sri Lanka, Thailandia, Myanmar…); altre in cui si riuniscono in monasteri e lavorano la terra o altro (Tibet, Corea, Cina…); altre ancora in cui il periodo in monastero non coincide con la durata della vita, ma è di alcuni anni di formazione: in Giappone per esempio, almeno nel buddismo zen, solitamente la permanenza in monastero è di alcuni anni (raramente oltre i dieci) e poi il monaco rientra in un certo senso nel mondo: si può sposare e spesso si occupa di un piccolo tempio in cui vive con la famiglia.
- Fondamentalmente quello che distingue un monaco dalle altre persone non dovrebbe essere qualcosa di esteriore, ma la sua scelta di vita, che rinnova giorno per giorno vivendo secondo quelle indicazioni che ho cercato di indicare nella precedente risposta.
Domanda: Cosa è che spinge una persona a intraprendere questa difficile strada?
- Risposta: Questo varia da persona a persona. Nel caso di Buddha è scritto che la sua scelta dipese dal fatto di essersi reso conto che la sofferenza è presente in ogni esperienza di vita di tutte le forme di vita. Egli allora decise di cercare se c’era una via che conducesse alla liberazione dalla sofferenza, non solo per se stesso, ma per tutti gli esseri. Per questo lasciò la sua casa e iniziò il cammino che lo condusse all’esperienza del risveglio. Una scelta simile accomuna coloro che cercano, riferendosi all’insegnamento di Buddha, una via che li conduca a vivere non più in balia degli eventi e della sofferenza.
Domanda: Qual è lo scopo della meditazione buddista (zazen), e soprattutto a cosa serve rimanere a lungo immobili e in silenzio?
- Risposta: Ci sono varie differenti forme di meditazione nella tradizione buddista. Alcune sono delle tecniche che hanno lo scopo principale di calmare lo spirito per vedere le cose e si rifanno idealmente all’esperienza del risveglio di Buddha. Aprendo gli occhi, Buddha ha “visto” (così ci racconta) il vero aspetto della realtà: la vita su cui ha aperto gli occhi non è solo la sua vita personale e particolare, è la vita di tutto e di tutti, che fa vivere tutto e tutti da sempre e per sempre. Lo scopo è quello di sedersi come Buddha si è seduto e di vedere con gli occhi di Buddha. Cioè non mettere nessun “tipo di occhiali” per vedere le cose, neppure quelli dei miei pensieri: spesso i miei pensieri fanno da filtro e influenzano il mio modo di vedere le cose facendomi prendere lucciole per lanterne. Stando semplicemente seduto, a occhi aperti, mi metto nella condizione di essere sveglio, senza aggiungere a questo null’altro. La meditazione dovrebbe essere un atto gratuito – fatto cioè per se stesso, e non per far succedere qualcosa d’altro. Serve a qualcosa? A cosa serve? Di questo forse ci si accorge facendolo, col tempo. E’ un po’ come voler bene a una persona: noi speriamo che la persona a cui vogliamo bene si comporti in un certo modo che noi riteniamo giusto, e questo proprio perché le vogliamo bene: però, siccome le vogliamo bene, continuiamo a volergliene anche quando non è come vorremmo che fosse. Il bene insomma è più grande dell’effetto che produce: gli effetti infatti si esauriscono mentre il bene è inesauribile. Così è con la meditazione: anche se non ci dà quello che forse vorremmo, anche quando non produce l’effetto desiderato, continuiamo a meditare, perché lo spirito della meditazione è proprio quello di non cercare nulla in cambio, di essere più grande di ogni effetto, di rinnovarsi ogni volta come se fosse la prima volta.