Antico come il tempo antico in cui nacque, il Cha no yu è rito tramandato nei secoli: filosofia di vita versata in una tazza da bersi per coglierne l’essenza, spirito da respirare in ogni gesto sospirato, codifica di stili e forme per dare senso ai sensi, la cerimonia del tè in Giappone è arte.
Arte importata con il Buddismo dalla Cina intorno al VI secolo: bevanda di monaci, nata secondo leggenda dalle ciglia tagliate da un monaco, consumata nei monasteri durante le cerimonie religiose e poi diffusa tra l’aristocrazia come momento d’incontro e da lì al resto della popolazione popolana.
Fra il XIV e XV secolo iniziò a essere bevuta dalla emergente classe mercantile come segno distintivo, e dopo anche dai samurai: furono loro a fare della cerimonia del tè un elemento importante della Via, il codice di condotta che regolava la vita degli invincibili guerrieri giapponesi.
Ma fu Murata Shukō a trasformare il Cha no yu da un semplice incontro fra amici in un momento intimo tra il padrone di casa e i suoi pochi ospiti da celebrare in una piccola stanza. Basandosi sul Buddismo Zen, il ritrovo divenne purificazione dello spirito in relazione con la natura.
A innalzare la cerimonia del tè a evento artistico fu invece Sen no Rikyū. Nato nel 1522 nella prefettura di Ōsaka, sin da giovane mostrò amore e passione per questa disciplina che portò alla sua massima espressione codificandola: serenità e sintonia, silenzio e quiete interiore, armonia e natura. I riti di ieri sono osservati ancora oggi.
Il rituale del Cha no yu avviene nella cha shitsu, la cosiddetta stanza del tè: può essere sia dentro l’abitazione sia in una zona separata dalla casa o, addirittura, in un padiglione (la suki ya), che si trova nei giardini. La stanza, come luogo cerimoniale, fu creata dai maestri Zen intorno al XV secolo.
La semplicità del luogo ben si confa col momento di meditazione che la cerimonia del tè rappresenta. Il legno e le paglia sono esempi di purezza e raffinatezza che hanno fatto la storia dell’architettura. L’apparente vuoto è ideale rappresentazione Zen dove il pensiero è libero di contemplare l’assenza e di amarla.
Il silenzio è sublimazione del luogo in cui gli ospiti si dispongono sul bambù intrecciato, il tatami, vicino al padrone di casa a seconda della loro importanza. Gesti fissi e lentissimi, quasi estenuanti agli occhi occidentali, scandiscono il tempo indefinito del Cha no yu. Poi la bevanda viene preparata per gli astanti.
Il testsubin è la teiera utilizzata per dare vita alla cerimonia del tè: questo bollitore dalla sofisticata lavorazione veniva utilizzato soprattutto nelle occasioni all’aperto. Da impugnarsi sempre e solo con la mano destra come vuole il protocollo, non ha decorazioni sgargianti in accordo alla disciplina Zen. Solo foglie, fiori, bambù o animali stilizzati.
Nei secoli il tè è così divenuto per il Giappone un valore sociale, oltre che gastronomico: la sua coltivazione è maggiore nella zona centro-occidentale del Paese. È da lì che deriva il matcha, la qualità verde polverizzata che mescolata all’acqua calda con il chasen, il frullino di bambù, viene usata durante lo Cha no yu. Rito antico di una nazione ultramoderna.
– Fonte : giappone.ilreporter.com