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L’importanza dell’incontro col buddhismo per la scienza moderna

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Ci sono crescenti indicazioni che il buddismo possa esercitare un’influenza importante e produttiva sulla scienza moderna primariamente a due livelli:

(i) la ricerca dettagliata relativa allo studio della mente, e

(ii) l’impatto epistemologico sui fondamenti della scienza, particolarmente della fisica.

Le scienze della vita si sono sviluppate enormemente nel corso degli ultimi cinquant’anni. Un ramo fondamentale di esse è lo studio della mente, della funzione cognitiva, degli affetti e dei fenomeni mentali correlati, in cui le scienze del cervello (o neuroscienze) svolgono un ruolo centrale. Un’insolita confluenza di discipline puntano i loro microscopi sulla natura della conoscenza, delle emozioni e dell’azione.

Queste discipline includono le neuroscienze, la genetica molecolare, la psicologia sperimentale, l’intelligenza artificiale e la linguistica. Da questa ibridazione sono emersi vari significativi sforzi interdisciplinari, comprendenti scienza cognitiva, neuroscienza e neuroscienza affettiva. Queste nuove scienze interdisciplinari hanno rapidamente abbracciato lo studio della mente come oggetto scientifico e hanno consentito alla scienza moderna di accostarsi a questa impresa con un rigore e una precisione senza precedenti.

Per effetto di queste ricerche di frontiera la scienza si è andata gradualmente risvegliando a una tematica che, fino a poco tempo fa, sembrava ‘non-scientifica’: lo studio della coscienza stessa. Può uno studio scientifico della mente omettere quella realtà che è sempre presente agli esseri umani, cioè la loro propria esperienza? Cos’è la coscienza? In che rapporto sta con altre capacità mentali generate dal cervello, come la visione, l’emozione, la memoria? Quanto flessibile è il potenziale del cervello nel soddisfare i bisogni umani in medicina e nell’educazione?

Questa ‘rivoluzione’ della coscienza ha messo in evidenza il fatto che lo studio del cervello e del comportamento richiede un complemento altrettanto disciplinato: l’esplorazione dell’esperienza stessa. È qui che il buddismo ci si offre come una straordinaria fonte di osservazioni riguardanti la mente umana e l’esperienza: osservazioni accumulate nel corso dei secoli con grande rigore teorico e, cosa ancor più significativa, con precisi esercizi e pratiche per l’esplorazione individuale. Questo tesoro di conoscenze è un sorprendente complemento per la scienza. Mentre l’affinamento materiale dei metodi scientifici è impareggiabile negli studi empirici, il livello esperienziale della scienza occidentale è ancora immaturo e ingenuo in confronto alla lunga tradizione buddista di studio della mente umana.

Il luogo d’incontro naturale fra scienza e buddismo è perciò una delle più attive frontiere della ricerca attuale. La posta in gioco sta nel comprendere come mettere insieme i dati provenienti dall’esame interno dell’esperienza umana con la base empirica che la moderna neuroscienza cognitiva e affettiva può fornire. I resoconti in prima persona ottenuti mediante le tecniche meditative non sono una pura ‘conferma’ di dati che la scienza è comunque in grado di acquisire: essi ne sono invece un complemento necessario. Per esempio, negli attuali esperimenti che si servono dell’imaging del cervello per studiare i sostrati neurali delle emozioni e dell’attenzione, i dati empirici non sono correttamente interpretabili se non prendendo in considerazione descrizioni raffinate dell’esperienza interna.

Perciò possiamo prevedere che le scienze della mente si evolveranno in una forma di neuroscienza esperienziale, gettando un ponte sull’abisso che attualmente separa le descrizioni esterna e interna. Una tale unificazione della nostra comprensione del mondo, che fornisce un nuovo quadro per la scienza della mente, è uno dei massimi contributi che il buddismo è in grado di offrire. L’interesse per questa fecondazione reciproca è stato uno dei principali motivi ispiratori del Mind and Life Institute e resta al centro dei suoi sforzi per trasformare questa visione in concrete collaborazioni di laboratorio.

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Due implicazioni fra loro correlate del dialogo fra scienza e buddismo riguardano la nostra comprensione della flessibilità comportamentale e neurale e lo sviluppo di interventi specifici per la promozione del benessere psicologico e fisico. La scienza cognitiva e la psicologia moderne fanno determinate ipotesi riguardo alle norme che governano il funzionamento mentale e ai limiti entro cui un cambiamento di tale funzionamento è possibile. Per esempio, nell’ambito cognitivo si ritiene normativo che un individuo non sia in grado di mantenere l’attenzione concentrata su un singolo oggetto per più di qualche secondo. Nell’ambito affettivo l’emozione della rabbia viene considerata come una reazione normativa che emerge naturalmente quando i nostri scopi sono ostacolati.

Il buddismo ci insegna che entrambe queste assunzioni riguardo al ‘modo di operare normale’ degli esseri umani sono fallaci e che con l’addestramento (cioè in meditazione) può prodursi un’evoluzione significativa di queste capacità. Tale prospettiva rappresenta una sfida importante per gli scienziati occidentali e rimette in gioco alcune delle nostre convinzioni profonde sulla ‘natura’ del comportamento umano. Inoltre il buddismo specifica in dettaglio i metodi che permettono una tale evoluzione. Questo terreno d’incontro può dunque fornire un impulso cruciale per il superamento della concezione occidentale della fissità delle funzioni mentali, sollevando nel contempo l’esigenza di nuove ricerche per esplorare la capacità di trasformazione di funzioni biocomportamentali ritenute un tempo elementi immutabili del nostro paesaggio mentale.

La tecnologia esperienziale della meditazione e delle pratiche a essa correlate offerta dal buddismo sta avendo un impatto significativo sulla medicina moderna e sugli interventi psicoterapeutici. I dichiarati effetti benefici di queste pratiche sulla salute e sul benessere mentale e fisico hanno catalizzato seri sforzi per analizzarne i meccanismi. I dialoghi del Mind and Life Institute hanno dato vita a ricerche che hanno messo in evidenza cambiamenti sia nel cervello sia nella funzione immunitaria per effetto della meditazione. Questi lavori contribuiscono alla reintegrazione del cervello nel contesto del corpo, mostrando come i mutamenti cerebrali abbiano effetti a cascata sul sistema immunitario, sul sistema nervoso autonomo e sul sistema endocrino, che sono tutti implicati nella salute e nella malattia.

Benché le scienze della vita e la scienza cognitiva siano il più intimo punto di contatto fra buddismo e scienza per quanto riguarda le ricerche dettagliate, il buddismo può avere una grande importanza anche a un livello più fondamentale, epistemologico. La raffinatezza filosofica delle concezioni buddiste in merito alla natura della realtà, alla percezione e alla logica è tanto profonda quanto la sua base di osservazioni dell’esperienza umana. La tradizione buddista comprende varie nozioni, come identità designata, generazione codipendente e vacuità, che non hanno analogo nell’eredità filosofica dell’Occidente.

La fisica moderna è forse il luogo dove questo secondo tipo d’incontro è più visibile. Nella fisica è in corso una rivoluzione concettuale legata ai cosiddetti tentativi di unificazione, che mirano a mettere in rapporto il minuscolo universo della meccanica quantistica con quello della macrofisica e della gravitazione. Come si sa, tali ricerche hanno spalancato abissi epistemologici, legati, per esempio, alla non-località, all’origine dell’universo e al ruolo dell’osservatore. Filosofi della scienza e fisici hanno trovato gli scambi concettuali ed epistemologici con il buddismo potenzialmente preziosi. Si veda, a questo proposito l’articolo di copertina del numero di gennaio 1999 di GEO Magazine. Il Mind and Life Institute intende perseguire questa linea di mutua esplorazione come secondo principale contributo che il buddismo può offrire alla scienza moderna.

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Il buddismo e la fisica quantistica

Shantena Augusto Sabbadini

Chi siamo? Di cosa è fatto il mondo? Cos’è la materia? Cos’è la mente? Siamo abituati a pensare a noi stessi e al mondo come entità separate individualmente
esistenti.

Il buddismo, che per 2500 anni ha esplorato la realtà interna e ha sviluppato in profondità una scienza della mente, mette in dubbio questi presupposti ingenui e considera sia la nozione di un io separato dotato di esistenzia individuale sia quella
dell’esistenza di un mondo oggettivo intorno a noi come illusorie.

La scienza occidentale ha scelto il cammino opposto: il suo sguardo si è concentrato sull’esterno, sviluppando in profondità una scienza della materia. Tuttavia, man mano
che siamo penetrati sempre più profondamente nel cuore della materia, si è andata delineando una sorprendente inversione di direzione, in quanto la materia stessa ha cominciato a dissolversi in qualcosa di molto meno tangibile, qualcosa che sembra perfino dotato di caratteristiche simili a quelle della mente.

Così, inaspettatamente, troviamo che attualmente il cammino della scienza dell’esterno e di quella dell’interno convergono, proponendoci un’immagine del mondo in cui tutto è intimamente connesso e in cui non ci sono esseri o oggetti
separati, un mondo che è si presenta assai più come un organismo vivente che come una massa di materia inerte letta da leggi meccaniche.

Fonte:Buddhismo e Scienza




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