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La compassione serve a noi stessi… – di Aliberth

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La compassione serve a noi stessi…

di Aliberth (tratto dal Bollettino Nirvana News)

compassion
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Nel Buddismo, come pure in ogni sacrosanta religione, viene messa molta enfasi sull’atteggiamento altruistico…. Ed è anche logico aspettarselo, perché il rispetto e l’amore per gli altri e per il nostro prossimo sono fondamentali regole per esprimere la parte buona di noi stessi. Parte buona che, secondo le esplicite istruzioni di tutte queste religioni, dovrebbe essere espansa fino a far comprendere alla nostra mente che noi stessi e tutti gli altri, in realtà, non siamo null’altro che una sola ed unica sostanziale cosa.

Tuttavia, a questo importante comandamento, il Buddismo ne aggiunge un’altro che è davvero unico e peculiare alla sua dottrina. Non solo l’amore ed il rispetto vanno espressi e manifestati verso gli altri (tutti gli altri, anche gli esseri viventi più disgraziati e sfortunati, compresi gli animali e gli insetti) ma anche e soprattutto una certa forma di ‘compassione’ che, tanto per precisare, non è l’abituale ‘pietas’ Cristiana, ma un particolare stato di mente, un tipo di pensiero premuroso e costante che ci spinge a vedere la miserrima condizione in cui versano tutti gli esseri senzienti in questo oceano di sofferenza, che nel gergo Orientale è chiamato ‘samsara’.

In molte persone che, in un modo o nell’altro, si avvicinano alla spiritualità Orientale e soprattutto al Dharma Buddista, ad un certo punto dovrebbe presentarsi una sorta di dilemma nei confronti di questa forma di comprensione dell’essenziale unicità della mente di tutti gli esseri ‘senzienti’. Nel nostro ordinario modo di ragionare Occidentale, noi non siamo abituati a capire questo tipo di ‘compassione’ altruistica, così fortemente radicato nella nostra mente. E quindi, noi dobbiamo fare un grande sforzo di volontà, ed anche di adattamento a questa nuova e difficile forma di comprensione, per poter veramente assorbire in noi stessi il significato esatto e preciso del termine Sanscrito ‘karuna’, che sta proprio a indicare quel tipo di ‘compassione’ di cui stiamo parlando.

E non si creda che sia una cosa facile… tutt’altro. Noi, normalmente, siamo portati a provare facili ed ovvii sentimenti di affetto e simpatia verso le persone che ci stanno a cuore, come i nostri familiari, coniugi, figli, parenti, partners e amici. A volte, abbiamo la tendenza a manifestare la nostra cordialità anche verso estranei che a prima vista ci risultano simpatici, o verso personaggi mediatici che troviamo di nostro gradimento. Ma, il più delle volte, sentiamo avversione e rifiuto verso tutte quelle persone che non rispondono a quei canoni di affabilità e che non sono in qualche modo sintonizzati con il nostro carattere. Vale a dire che, anche se fanno parte della nostra famiglia, se per caso ci ostacolano o ci avversano nel nostro modo di essere, ecco che allora quello che doveva essere un sentimento di affetto amoroso, all’improvviso diventa un sentimento di odio ed avversione.

Quindi, dato che la nostra mente umana funziona proprio in questo modo, a causa della nostra incapacità di governarla, è praticamente improponibile una ingiunzione che ci imponga di modificare questo funzionamento e riuscire ad invertire il processo egoistico che ci fa vedere gli altri in un modo o nell’altro… Non solo, ma anche quando le persone si sentono interessate ed attratte verso quel tipo di filosofia umanistica che emana dagli insegnamenti e pratiche meditative del Chan, ad esse risulta realmente impossibile accettare subito la parte che riguarda questa pratica della compassione altruistica. In genere, occorre un periodo molto lungo di assiduità meditativa per poter finalmente arrivare all’effettiva comprensione dei vantaggi di applicazione della pratica della compassionevole ‘karuna’.

Ma la cosa davvero più strabiliante è che uno, pur avendo all’inizio espresso una forma di compassione ‘forzata’, perché ha capito che senza di essa la mente non potrà mai fare il ‘balzo’ verso l’Assoluto, e quindi non potrà mai raggiungere l’Illuminazione, continuando insistentemente nel pensiero di compassione verso tutti gli esseri viventi, grazie ad una nuova consapevolezza ed intuizione profonda, arriverà a realizzare alla fine che il provare quella ‘compassione’ giova soprattutto a se-stesso! E’ come quando si fa un regalo ad una persona cara e si prova noi stessi il grande piacere di aver fatto un dono. In questo caso, oltretutto, il vero vantaggio sta nell’arrivare a capire l’unità di tutto l’esistente, così che provando amore e simpatia verso tutti gli altri, se ne riceve in cambio un aumento di benessere spirituale e mentale, grazie al miglioramento del nostro karma ed alla serenità nel cuore che ne consegue.

Insomma, la pratica della Compassione, che come vantaggio agli altri porta il fatto che noi non potremo più far loro del male e quindi non potremo più essere nocivi nei loro confronti, alla fine per gli altri non è altro che un vantaggio materiale e mondano. Siccome nessuna mente può essere obbligata a modificarsi nella sua parte profonda, e cioè a diventare interessata alla spiritualità, senza la volontà del singolo individuo, ed essere quindi avviata verso la via della salvezza, ne consegue che la compassione che noi proviamo verso gli altri non necessariamente può salvarli dal loro karma spirituale negativo, ma normalmente ha effetto solo sul karma materiale; nondimeno, l’effetto che la ‘nostra’ compassione ha su di noi, invece, è estremamente positivo proprio nel campo spirituale e mentale.

Questo significa che, ottenendo noi un simile vantaggio in termini spirituali e mentali, la nostra capacità di ‘potere’ spirituale aumenta in modo esponenziale, quindi potremo avere maggiori possibilità di poter aiutare gli altri anche a livello spirituale (sempre che queste altre persone abbiano almeno un minimo di karma spirituale positivo, per poter credere e aver fiducia in colui che vuole aiutarli – come dice il detto: ‘aiutati, che Dio ti aiuta’). Ecco spiegato perché la Compassione per gli altri, in primis serve a noi stessi, ma poi però, indiscutibilmente, torna ancora ad essere utile spiritualmente anche per gli altri (quegli altri che, nella nostra mente, ormai non sono più meramente ‘gli altri’, ma una parte preminente e importante della nostra stessa mente).

Alla luce di tutto ciò, ecco perché poi noi proviamo un vero ‘dolore’ nel cuore quando, per es., vediamo che alcune persone intenzionate ad entrare nella ‘Porta-senza-porta’ del Chan vi si affacciano timorose, ma poi, dopo due o tre sedute, avendo ascoltato le forti ingiunzioni della sua dottrina, che non dà spazio alle fantasticherie illusorie ed ai capricci mentali, se ne allontanano piene di dubbi e di paura. E’ perché capiamo che queste persone sono veramente sprofondate nel fango del karma spirituale negativo e non hanno la volontà, o la forza d’animo, di volersene liberare e di tirarsi su da quelle sabbie mobili mentali, che le costringonio a rimanere impigliate nella visione mondana e nel qualunquismo spirituale e culturale di questo mondo samsarico.

Ed in questi casi, la nostra compassione ancora di più tende ad attagliarsi su queste persone non-coscienti che hanno deciso di rimanere ottenebrate, perché, come diceva Gesù Cristo, ‘non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, né peggior cieco di chi non vuol vedere’, e allora noi sentiamo come se una parte della nostra mente si è staccata da noi e si è riperduta nel vuoto degli infiniti tempo e spazio, ritornando a far parte di quel samsarico mondo illusorio creato dalla mente, destinato a svanire col suo stesso creatore, che è appunto la mente di quelle persone, allorchè esse dovranno morire…

Ecco perché noi chiamiamo ‘morti’, tutti coloro che pur avendo avuto la grande fortuna di essere approdati alla benedetta spiaggia del Dharma e di aver conosciuto il Chan, se ne sono purtroppo poi allontanati, senza nemmeno immaginare che grande tesoro essi abbiano potuto e voluto perdere… Ma, d’altra parte, è proprio la grande compassione che si sente, che in seguito lenisce il nostro dolore, perché sappiamo che quelle stesse persone che ostinatamente hanno rifiutato adesso il Dharma, saranno ineluttabilmente obbligate prima o poi a dover ritornare a bussare alla porta del Chan, anche se in vite successive e in tempi lontani, perché il seme della grande compassione (‘mahakaruna’) è stato ormai piantato e dovrà necessariamente fruttificare quando, per legge cosmica, nella loro mente si saranno generate cause e condizioni del karma spirituale positivo, come è successo a noi, visto che in realtà siamo tutti ‘la stessa e identica cosa’…

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