Home Spazi Buddhisti Interreligieux Samadhi e religione

Samadhi e religione

62
0

Samādhi (devanāgarī: समाधि, lett. “mettere insieme”, “unire con”) è un sostantivo maschile sanscrito proprio delle culture religiose buddhista e induista che descrive l’unione del meditante con l’oggetto della meditazione.

Origine e significato del termine

Il termine sanscrito samādhi deriva da sam (“insieme”) rafforzato dalla particella ā + la radice verbale dha (“mettere”).
La prima citazione del termine samādhi la si rileva nel Canone buddhista di poco posteriore è la sua menzione nella letteratura non buddhista successiva alle Upaniṣad, la Bhagavadgītā.
Mircea Eliade nella nota n°10 del VI paragrafo del II capitolo del suo testo Le Yoga, immortalité et liberté (1954, Payot, Parigi; trad. it. Lo Yoga -Immortalità e libertà Milano, Rizzoli, 1997) evidenzia come:
« I significati della parola samādhi sono: unione totalità; assorbimento in, concentrazione totale dello spirito; congiunzione. La parola viene generalmente tradotta con “concentrazione”; in questo caso, però si corre il rischio di confonderlo con la dhārānā. Per questo abbiamo preferito tradurla con “en-stasi”, stasi, congiunzione »

meditation-10.gif

Il samādhi nel Buddhismo

È nella letteratura buddhista che si riscontra per la prima volta il termine samādhi:

« Monaci, questi sono i quattro stadi della concentrazione (samādhi). Quali quattro? C’è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce al piacere in questa vita. C’è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce al conseguimento della conoscenza e della visione profonda. C’è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce alla consapevolezza e alla presenza mentale. C’è lo stadio della concentrazione che, quando sviluppata e perseguita, conduce alla fine degli influssi impuri »
(Samādhisutta, Aṅguttaranikāya 4.41 )

Buddhaghosa lo indica come “concentrazione in un solo punto” (cittasya ekāgratā, in Aṭṭhasālinī 118).

Georg Fuerenstein evidenzia come con ciò non si intenda la “concentrazione della mente ordinaria” quanto piuttosto la capacità yogica di astrarsi dall’esterno focalizzandosi sulla propria realtà interiore.

Alle stesso conclusioni definitorie, in ambito buddhista, giunge Philippe Cornu:
« Quando essa rimane focalizzata su un unico punto o su un solo oggetto e le nozioni di “soggetto” e “oggetto” scompaiono, non si può più parlare realmente di “concentrazione della mente sull’oggetto” giacché resta solo l’esperienza meditativa in sé. »

Il samādhi corrisponde all’ultimo stadio dell’Ottuplice sentiero e quindi riassume tutte le pratiche meditative dei dhyāna oltre le quali si colloca l’obiettivo finale, il nirvāṇa.

Nel Buddhismo il samādhi è frutto dell’unione della tecnica meditativa del śamatha (“dimorare nella calma”, ovvero calmare la mente) con l’altra tecnica meditativa denominata vipaśyanā (“visione profonda”) queste due pratiche vanno eseguite unitamente anche se una può procedere dall’altra:

« Per accedere al samādhi, dunque, śamatha o vipaśyanā presi singolarmente non sono sufficienti »
(Philippe Cornu. Op.cit.)

samadhi4260-5.gif

Il samādhi nell’ Induismo

Il termine samādhi compare anche nella Bhagavadgītā, opera successiva al Canone buddhista.

« Coloro che ricercano il godimento (bhoga) e il potere (aiśvarya) hanno il pensiero catturato da tale [discorso]; in questi la mente (buddhiḥ), nonostante la natura propria della decisione, non è adatta alla contemplazione(samādhi) »

« “Questo stesso è espresso nei versetti: Questa è la sempiterna grandezza del brahmano: né s’accresce né diminuisce per l’azione che compie. Bisogna cercare le tracce di questo [Ātman]: una volta che lo si sia conosciuto non si è insozzati da azione malvagia. Perciò colui che questo sa diventa calmo, tranquillo, indifferente, paziente, raccolto in sé e in se stesso scorge l’Ātman, in ogni cosa scorge l’Ātman; non lo vince il peccato, anzi egli vince ogni peccato, non lo brucia il peccato, anzi egli brucia ogni peccato; libero da peccato, da passioni, da dubbi, egli è un vero brahmano. Questo è il mondo del Brahman, o gran re; ad esso ti ho fatto giungere”. Questo disse Yājñavalkya e Janaka replicò: “Io mi consegno a te, o venerabile, e anche i Videha ti consegno [come schiavi]»

evidenzia che se il samādhi è considerato una esperienza “indescrivibile” esso non è comunque univalente e viene indicato come
« lo stato contemplativo in cui il pensiero afferra immediatamente la forma dell’oggetto senza l’aiuto delle categorie e dell’immaginazione (kalpaṇā); stato in cui l’oggetto di rivela “in sé stesso” (svarūpa). in ciò che ha di essenziale e come se “fosse vuoto di sé stesso” (arthamātranirbhāsaṃ svarūpaçūnyamiva in Yogasūtra, III,3 »

« Il Kriyāyoga (yoga nell’azione, da intendersi come pratica dello yoga) è costituito dalle austerità (tapaḥ), dallo studio svolto da soli (svādhyā) e dal votarsi (praṇidhānāni) al divino (iśvara). [Esso occorre] per realizzare (bhāvana) il samādhi e rendere (karaṇā) deboli (tanū) gli kleśa (cause delle sofferenze) »

Fonte : Wikipedia

Previous articleAyutthaya: l’isola circondata da tre corsi d’acqua
Next articleDiventare un attore e un membro attivo della Buddhachannel