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Buddhismo zen e pratica scientifica – 7. Conclusioni + Bibliografia

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Buddhismo zen e pratica scientifica

Un approccio sostenibile al dialogo fra religione e scienza

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7. Conclusioni

Luigi Cerruti

Università di Torino

e-mail: luigi.cerruti@unito.it

Studied as structures, as systems, and as religions, Zen and Catholicism don’t mix any better than oil and water.[1] Thomas Merton,1968.

Avviandomi a trarre qualche conclusione dalle riflessioni delle pagine precedenti debbo richiamare il fatto, in sé ovvio, che in un movimento religioso che coinvolge molte civiltà e tradizioni disparate si possono trovare le posizioni più diverse, anche su problemi cruciali per la stessa pratica soteriologica. Molti Buddhisti giapponesi, ad esempio, hanno adottato una suddivisione ‘operativa’ fra le pratiche di risveglio.

Da una parte la ricerca viene condotta basandosi essenzialmente sulle proprie risorse esistenziali, in giapponese jiriki 自力, lett. potere/forza propria; lo Zen 禪 rientra certamente in questa categoria. In altri casi la ricerca si basa sull’aiuto che può venire dalla devozione, in giapponese tariki他力, lett. potere/forza altrui; in questa categoria i giapponesi classificano i praticanti del Jōdoshū 浄土宗, la scuola della Terra Pura. Per quanto questa partizione possa valere in Giappone, la sua inconsistenza ha una verifica non appena ci si riferisce alla Cina, dove in fin dei conti Zen e Terra Pura sono nati; ebbene molti fedeli cinesi non sono in grado di distinguere il Chan 禪 dalla Terra Pura (Jingtuzong 净土宗), perché nei loro templi si seguono/insegnano pratiche di entrambe le scuole.

Una partizione del tipo jiriki vs. tariki ha un carattere strumentale (anche in parte positivo) ma non può avere un fondamento nel Dharma. Ho citato Merton nell’epigrafe di questa sezione perché coglie perfettamente l’incompatibilità fra gli aspetti istituzionali delle religioni. Le pratiche, alcune pratiche, possono essere condivise: in verità non saprei dire se una meditazione formale sul Crucis mysterium appartenga al Cristianesimo o allo Zen.

Esiste una ampia zona di contatto fra scienza e Dharma: fiducia nei propri mezzi conoscitivi, atteggiamento laico verso i maestri, affidamento alle pratiche sperimentali, carattere cumulativo dei risultati. Scienziati, storici, filosofi e teologi si apriranno buone prospettive di studio se accetteranno che le pratiche, scientifiche e religiose, non siano meramente l’ombra delle idee, ma il terreno fertile in cui esse germogliano e fioriscono. Le pratiche delle religioni e delle scienze sono molto diverse fra loro, hanno però una finalità in comune: la comprensione del mondo-della-vita. Accomuna le scienze e le religioni anche il senso di sconvolgente meraviglia che suscita questo mondo-della-vita. I praticanti del Dharma vorrebbero giungere al risveglio, nella vita presente o nelle future; se il risveglio si realizza anche nel vedere il mondo così com’è, allora le conoscenze scientifiche possono aiutare in massimo grado i Buddhisti, specialmente nella meditazione formale.

Scienze e religioni potranno arricchirsi reciprocamente se ammetteranno che la ricerca non è conclusa, che ciò che l’umanità sa è ben poco, e che ciò che l’umanità fa è ancora meno rispetto ai bisogni, ai gemiti che sentiamo salire da ogni angolo della Terra. Una delle intuizioni più profonde è stata espressa dal Maestro zen Robert Aitken: “the individual action is a creative presentation of the universe”.[2] Non ho ulteriori commenti da fare rispetto alle nostre responsabilità e alle nostre possibilità.

Bibliografia

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Newton I. 1739. Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica, Auctore Isaaco Newtono, Eq. Aurato. Perpetuis Commentariis illustrata, communi studio PP. Thomæ Le Seur & Francisci Jacquier Ex Gallicanâ Minimorum Familiâ, Matheseos Professorum, Barrillot, Genevae.,

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