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Vajrayana indo-tibetano

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Una delle domande che più spesso vengono poste da chi si avvicina al buddhismo verte su quali siano le differenze fra le sue varie tradizioni, principalmente la tradizione Dhyana, Ch’an, Zen, Thien, Soen, termini che hanno il medesimo significato in diverse lingue, sanscrito, cinese, giapponese, vietnamita, coreano, dove pure questa stessa tradizione ha sortito esiti e sviluppi assai differenti, la tradizione Theravada, diffusa in molti paesi come la Birmania o Myanmar, lo Sri Lanka, la Thaylandia ed altri ancora, e la tradizione Vajrayana o Buddhismo Tibetano che si estrinseca nelle sue 4 scuole.

Tantra.gifSi tratta di una domanda cui risulta presto evidente come sia quasi impossibile offrire una risposta esauriente e sintentica, implicherebbe lo studio di tutto lo sviluppo storico di queste tradizioni.

Dal breve testo che segue possiamo però ricavare alcuni elementi che ci possono aiutare a focalizzare il Buddhismo Tibetano o Vajrayana, e forse contribuire ad agevolare una scelta più consapevole.

L’elemento chiave potrebbe essere rintracciato, poiché nulla nasce dal nulla, nel tenere nella giusta considerazione la continuità esistente fra il Buddhismo e il complesso sistema religioso indiano preesistente.
Rupam sunyata
sunyataiva rupam
“La modalità ultima d’esistenza della forma
è la vacuita d’esistenza inerente;
la forma non può essere espressa
che in virtù di tale modalità”
(Prajnaparamita-hridaya-sutra, 10)

Deum te igitur scito esse (CICERONE, De Republica, XXVI)

Il vajrayana indo-tibetano

Il buddhadharma ha iniziato a diffondersi in Tibet dall’India a cominciare dal VII sec. dell’E.C., ovvero un millennio circa dopo la predicazione di Sakyamuni, il Buddha storico.

In questi dieci secoli la dottrina del Buddha ha avuto ampio agio di elaborare una serie di esiti scritturali e rituali che trovano nel vajrayana – il ‘veicolo della folgore adamantina’, ovvero l’aspetto iniziatico della dottrina – la loro espressione più compiuta per quanto concerne il riflesso che la speculazione metafisica ha sulla ‘sacra prestazione’ o liturgia.

Proprio l’interesse per il rito, atteggiamento criticato dal fondatore del buddhadharma, ritorna prepotente nel corso di questa evoluzione pratico-teoretica, al punto che le scuole theravada muovono la critica nei riguardi dei seguaci del vajrayana di esser ricaduti nelle ‘lusinghe’ del brahmanesimo. Tali controversie non possono però interessarci in questa sede.

E’ invece da valutare se non si debba parlare di opportunità politica da parte del regno tibetano, che dal VII sec. era divenuto potenza militare centroasiatica, nell’acquisire un’ideologia religiosa che potesse divenire asse portante di una struttura statale divenuta oramai sovranazionale. Si tratterebbe in questo caso dunque anche della necessità dei quadri politici tibetani dell’epoca di dotarsi di credenziali ideologiche che avallassero la loro sovranità mostrandosi, agli occhi delle diverse nazioni che si trovavano sottomesse alla monarchia tibetana, anche come patrocinatori della religione.

Dal punto di vista del processo di inculturazione, i tibetani ritengono di non avere apportato innovazioni in materia di dottrina.
Per i Lama – bLa.Ma, ‘superiore’ – non c’è infatti uno solo degli sviluppi ideologici tibetani che non si trovasse almeno in germe nel dharma trasmesso dai pandit, ovvero dai Maestri indiani.
Viene tradizionalmente così respinta in definitiva la distinzione netta tra un ‘Buddhismo indiano’ e un ‘Buddhismo tibetano’.

L’immenso merito culturale degli studiosi tibetani operanti principalmente nei complessi monastici – caratteristici della civiltà tibetana, ma anch’essi ricalcati su di un modello indiano – è stato proprio quello di avere svolto la funzione di supremi archivisti del vajrayana, vera quinta-essenza dell’esoterismo indiano che senza il ‘congelatore’ semantico e culturale tibetano oggi non avrebbe modo di potere essere conosciuto e studiato nei suoi aspetti integrali, essendo praticamente scomparso dall’India propria e dall’Asia sud-orientale.

Il vajrayana dal Tibet si è diffuso per il resto dell’Eurasia come da un trampolino, conquistando idealmente il vastissimo ambito himalayano (anche se Guge, Ladakh e Nepal ricevono il vajrayana direttamente dall’India), ed inoltre la Mongolia, la Buriatia, la Kalmucchia, nonché parti della Siberia della Cina e del Giappone.

Paragrafo tratto da:

“Arte come Liturgia: una approccio al Vajrayana indo-Tibetano”

Dott. Massimiliano A. Polichetti – Museo Nazionale d’Arte Orientale

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