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Buddhismo e Scienza – Intervista a Lama Ole Nydahl

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lama_ole_nydahl_portrait3.jpgVilnius, Lituania, settembre 2004

A cura di Artur Przybyslawski

A Copenhagen, la tua città natia, è stata formulata la famosa “interpretazione di Copenhagen” della meccanica quantistica. A partire dallo stesso luogo, anche il Buddhismo della Via di Diamante ha cominciato a diffondersi in tutto l’Occidente. Una piacevole coincidenza, non è vero?

Sì, abbiamo avviato il nostro primo gruppo di meditazione nella città dove Niels Bohr insieme a Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger e altri scienziati hanno svolto il loro sorprendente lavoro. Attualmente abbiamo oltre 450 gruppi e centri della Via di Diamante della scuola Karma Kagyu guidati dal XVII Karmapa Thaye Dorje. In quasi tutte le maggiori città europee, presso le università locali è possibile oggi ascoltare conferenze sulla meccanica quantistica e allo stesso tempo imparare a meditare nei nostri centri. Tutti hanno al giorno d’oggi la possibilità di mettere a confronto le scoperte sul mondo esteriore fornite dalla fisica, con i risultati della meditazione in grado di mostrare direttamente il mondo interiore.

Ripeti spesso e volentieri che lo stesso sguardo acuto e preciso viene adoperato sia dagli scienziati nelle indagini sul mondo esterno, sia dal Buddhismo nelle indagini sul mondo interiore. Si potrebbe dire che la meditazione buddhista è un metodo scientifico?

Si potrebbe paragonare la meditazione buddhista ad un laboratorio che offre ottimi metodi per indagare con precisione la mente.
Al giorno d’oggi non c’è più alcun dubbio sul fatto che tutti gli eventi siano collegati l’uno con l’altro e non è possibile osservare le cose del mondo esterno senza influenzarle. Dirigere le nostre osservazioni verso la sfera interiore, verso i processi mentali per i quali valgono le stesse regole, è un processo altrettanto scientifico. In entrambi i casi una serie di diverse condizioni influiscono l’una sull’altra, ma a questo il Buddhismo aggiunge la visione che porta all’illuminazione.
E’ estremamente utile riconoscere che esiste, al di là degli eventi, un centro immutabile, uno spazio che osserva, cioè la mente. Essa è consapevole e crea una visione ultima di ciò che accade. Questa visione non si trova in nessun altro sistema ed è una esperienza straordinaria, specifica di una religione basata sull’esperienza. Quando si medita costantemente con i metodi buddhisti, lo stato di consapevolezza di ciò che percepisce e che si trova tra e dietro i pensieri aumenta sempre più. Questo processo ha qualcosa di totalmente liberatorio, è qualcosa di ricco e meraviglioso di per sé. A questo si aggiunge una stabile sicurezza interiore data dalla crescente esperienza che la mente non sia dipendente da pensieri, impressioni o altro. Non esiste una meta più duratura di questa.
Ciò che affascina maggiormente e a lungo termine sono le possibilità innate della consapevolezza e l’energia illimitata di corpo, parola e mente.
La chiarezza indivisibile dalla mente che conosce e comprende, e lo spazio infinito in cui i pensieri ritornano, sono entrambi aspetti della sua illimitatezza. Gradualmente il fatto che si possiedano delle qualità ultime diventa più importante del chiedersi se i pensieri e le emozioni abbiano una nota piacevole o spiacevole.


Nella scienza occidentale il fattore sperimentale assume un ruolo predominante. Anche nel Buddhismo?

Il lavoro con la propria mente e la capacità di osservare il mondo per quello che è – e non per come si spera o si teme che sia – è un metodo sperimentale. Esso si basa su anni impiegati a ricevere le giuste istruzioni e si fonda sulla costante indagine su ciò che percepiamo nella mente e nel mondo circostante. Il suo feedback consiste nell’addentrarsi sempre più in profondità nello spazio radioso della mente, fino a dimorarvi completamente.
Direi che un processo di questa portata è estremamente scientifico. Vedere le cose come sono: questo desiderio unisce Buddhismo e scienza.
Definiamo il Buddhismo una religione d’esperienza, in contrasto con le religioni di fede del medio-oriente, perché i suoi metodi portano alla realizzazione della meta. La verità è intesa come onnipervasiva e inerente a tutti gli esseri. Per realizzarla, la pratica individuale deve essere un esperimento costante con la mente che diventa consapevole della sua ricchezza e delle sue capacità. Alla fine, un lavoro così congruente e metodico che coinvolge corpo, parola e mente porta a sperimentare la totalità della mente, l’illuminazione, proprio come è accaduto al Buddha stesso. Citando l’attuale guida del nostro lignaggio, il XVII Karmapa Thaye Dorje, “il Buddhismo non è una religione. E’ un metodo che ci collega con la nostra essenza”.

E’ utile cercare di inserire gli insegnamenti buddhisti in una struttura scientifica in cui la correttezza logica sia verificabile?

La maggior parte della gente oggi crede ai guru in camice bianco che interpretano il mondo attraverso complicati strumenti scientifici. Per le persone intelligenti che vogliono davvero imparare qualcosa il Buddhismo dovrebbe essere accessibile. Fintantoché la gente ha fiducia, dovrebbe essere sempre disponibile un contesto che permetta loro una crescita. Nel momento in cui si è aperti, il Buddhismo deve essere presente come scelta adatta ai tempi. Anche in questo caso, essere buddhisti significa mantenere un’attitudine critica. Tutti i fenomeni dovrebbero essere esaminati, e a questo proposito il Buddhismo mantiene uno sguardo critico. Se esistesse un punto sul quale il Buddha e la scienza non fossero concordi e la scienza sembrasse avere ragione, allora bisognerebbe affidarsi alla scienza. Anche il Buddha avrebbe voluto così. Non può esserci un insegnamento più alto della verità stessa.

Questo è un approccio molto intellettuale, e non è esattamente quello usato nella pratica della Via di Diamante, non è così?

Parlare di esperienza non esclude una sotto-struttura intellettuale. E’ importante avere almeno delle esperienze buddhiste, perché se si cerca di comprendere la mente senza maturità, cioè solo intellettualmente, si rischia di avere una visione non chiara.
Ad esempio, in Occidente la logica del Buddhismo ha dato l’idea a molte persone che l’insegnamento sia arido o addirittura morto, senza gioia. Questo non è affatto riscontrabile nei centri della Via di Diamante e non è neanche l’esperienza dei turisti che incontrano dei buddhisti nei loro stessi paesi. Solitamente sono rilassati e sorridenti.

L’idea che il Buddhismo sia senza gioia deriva dalla comprensione intellettuale del termine “vacuità”. Quando i traduttori occidentali si sono avvicinati alla cultura buddhista e ne hanno letto i testi, la loro visione era limitata ad un modo di pensare dualistico. E’ la tipica modalità esclusiva dell’Occidente, dove l’accettare una possibilita’ esclude tutte le altre. Per quelli incapaci di riconoscere la natura senza tempo dell’osservatore, “vacuità” poteva solo significare nullità. A causa di questa stessa comprensione limitata, gran parte delle prime traduzioni dei testi buddhisti e dei loro commentari spiegano il nirvana, la meta più elevata, come annichilimento o scomparsa. Naturalmente, questa visione non è veritiera. La realizzazione della liberazione è in se’ qualcosa di straordinario, e l’illuminazione è una esplosione di gioia, saggezza e compassione. Non c’è niente di paragonabile a questo stato.

Dunque, come spieghiamo in un moderno linguaggio scientifico occidentale questa concezione buddhista dello spazio, che non è una cosa e allo stesso tempo non è il nulla? Come evitiamo l’estremo della concezione nichilista dello spazio come puro nulla?

Dire che “lo spazio è informazione” è il modo migliore per spiegarlo, oppure “lo spazio è energia latente”, “lo spazio è potenziale”. Ognuna di queste tre formule funziona bene. Se si rivolge il proprio sguardo verso l’interno, si scopre solo nuda consapevolezza. Poi un pensiero, un’emozione o un ricordo fanno la loro comparsa per poi dissolversi nuovamente nello spazio stesso. Il mondo esterno funziona allo stesso modo: le galassie si formano, mutano e scompaiono in buchi neri, probabilmente emettendo idrogeno per l’universo successivo.

Come possono gli occidentali abituati a testare direttamente le cose in quanto cresciuti in una cultura scientifica, accettare il Buddhismo con tutte quelle forme di meditazione dallo strano aspetto, i mantra, e via dicendo?

Le uniche cose di cui la gente ha bisogno per trarre beneficio dal Buddhismo sono: avere fiducia che esista una meta che vogliono perseguire, il completo sviluppo della mente, che chiamiamo Buddha; dei metodi che li conducano a questa meta, gli insegnamenti del Buddha; e la fiducia negli amici che percorrono la nostra stessa strada. Non è necessario niente altro. Questo è il rifugio.
Tuttavia, al fine di raggiungere determinati stati mentali, si possono anche usare dei metodi speciali. Il più efficace di questi metodi lavora con l’identificazione, con i feedback forniti da forme di buddha maschili o femminili, singole o in unione, pacifiche o protettive, di diverso colore e che mantengono specifici attributi nelle loro mani. Essi influenzano la nostra immaginazione, il modo in cui l’energia fluisce nel corpo e quindi anche la nostra mente. Queste forme di meditazione rappresentano aspetti della propria natura illuminata e non sono da intendere come una sorta di “divinità”. La loro funzione è aiutare gli esseri a comunicare con la loro essenza. Questo tipo di meditazione ci aiuta a prendere contatto con la nostra illuminazione innata e a realizzare il nostro pieno potenziale.
Le sillabe usate, i mantra, portano energia ai diversi centri del corpo: OM porta le vibrazioni alla testa, AH concentra l’energia alla gola, e HUNG attiva l’energia al centro del torace. Dato che questi metodi sono misurabili, sia gli scienziati che i meditatori desiderosi di sviluppare se stessi cercano risultati nella mente anziché nel mondo esterno che in se non è in grado di sperimentare alcuna felicità o sofferenza. Ciò che fa esperienza è solo la mente. Perciò è sensato cercare in essa il senso della vita.

A partire da questo punto di vista, come ci confrontiamo con visioni come il materialismo?

Se poniamo l’essere umano al centro di ogni evento, i valori si semplificano sensibilmente. In ogni occasione, si può semplicemente considerare se una data azione porti beneficio agli altri o meno. Una visione materialista può essere utile solo fino a un certo punto. Per esempio, se si possiede un’auto veloce, si è in grado di incontrare più persone con cui si ha piacere di trascorrere del tempo, sperando di non incontrare anche un numero maggiore di poliziotti. E se si ha una casa calda, non c’è bisogno di indossare abiti pesanti che rendono difficile il lavoro. Tuttavia, da un certo livello di benessere in poi, sorge la necessità di impiegare persone che facciano la guardia a tutte le cose che si possiede senza averne un reale bisogno. Gradualmente le cose materiali assorbono la propria energia e il proprio tempo, in modo inutile. Kalu Rinpoche, uno dei nostri migliori Lama, consigliò di vivere come in un hotel, dove si usa quello che c’è, ma allo stesso tempo si sa di non potersi portare niente dietro.

Secondo te, qual è la relazione tra cervello e mente?

Una spiegazione che mi piace molto è che il cervello filtra le impressioni non strettamente associate alla sopravvivenza, fornendo il risultante materiale informativo alla mente. Non so quanto questa visione sia accettata tra i miei colleghi. Comunque, la maggior parte dei buddhisti sarebbe d’accordo sul fatto che il cervello non produce la mente, ma la trasforma. Può essere paragonato ad una radio – l’apparecchio – ma non è la stazione radiofonica. Come gli scienziati, anche noi pensiamo che il cervello sia il luogo dove vengono immagazzinate le impressioni. Queste sono impronte mentali che ci rendono consapevoli di ciò che sappiamo e facciamo. Il flusso di impressioni, comunque, non è creato dal cervello, ma è trasformato da esso e lavora attraverso il nostro sistema nervoso. Essendo in essenza spazio, la mente ha sperimentato infinite vite prima di quella attuale e continuerà finché l’esperienza dell’energia di consapevolezza della mente sarà più forte di tutto quello che può apparire in essa. Raggiunta la meta, si può scegliere se restare in uno stato senza tempo al di là dell’illusione di un “io”, sviluppando le qualità e le intuizioni illimitate della mente, oppure trovare un nuovo corpo che aiuti gli esseri nel mondo condizionato.

In relazione a questa domanda, è anche importante ricordare che i tibetani, quando dicono “mente” di solito indicano il cuore. Il cervello, d’altra parte, è considerato come il luogo dove vengono coordinate le diverse funzioni corporee. In caso di trapianti di cuore, si può osservare come le informazioni immagazzinate dal ricevente restino, mentre le emozioni e le tendenze spesso si avvicinano a quelle del donatore. Molti di questi casi sono descritti nel libro “Il codice del cuore” di Paul Pearsall [edizioni Rizzoli, N.d.T.].

In diverse occasioni hai consentito l’osservazione scientifica dell’attività del tuo cervello mentre meditavi. Credi che, al di là di alcune curiosità emerse, i risultati di certi studi possano avere un beneficio diretto?

Innanzitutto, è stato un sollievo quando hanno scoperto che avevo un cervello! Avevano seri dubbi sin dalla mia infanzia… Scherzi a parte, le dozzine di elettrodi applicati alla mia testa durante gli esperimenti a Zurigo e a Chicago hanno mostrato in realtà che 35 anni di Buddhismo della Via di Diamante lasciano segni specifici. Naturalmente ci sono dei fattori che hanno reso più complicata la ricerca dei risultati. Quattro anni di boxe, nove anni di esperimenti con le droghe sintetiche, che la mia generazione riteneva in grado di migliorare il mondo, e anche alcuni incidenti in moto devono aver lasciato delle tracce. In ogni caso, alcune cose non sono spiegabili da questi eventi. Passare in uno stato di sonno profondo e di riposo assoluto nel giro di quattro-sei secondi è estremamente insolito. In media sono necessari novanta minuti. E’ insolito avere una testa piena di onde teta, che di solito scompaiono nella parte centrale del cervello prima dei due anni di età. Oppure generare volontariamente le curve tipiche di un attacco epilettico mentre sono in uno stato meditativo, durante il quale sperimento gioia in ogni cellula del mio corpo. In realtà, è stato molto divertente vedere con la coda dell’occhio gli scienziati che si aggiravano con eccitazione intorno ai computer. Ho mantenuto quello stato per tre minuti e mezzo, attraverso una tecnica di respirazione profonda e focalizzandomi sul campo magnetico del mio corpo.
Si dovrebbero dare dimostrazioni di questo tipo principalmente per scopi scientifici. L’effetto di dissolvere le idee preconcette degli altri attraverso risultati inaspettati ha una durata troppo breve. Tuttavia, se grazie a questo esperimento alcune delle tante persone che soffrono di epilessia potessero essere aiutate, questa sì sarebbe una grande gioia!

Dal punto di vista del Buddhismo, la meccanica quantistica suscita un interesse particolare, non credi? Alcuni fisici dicono che il mondo sia una fluttuazione della vacuità, come dire una cena gratuita…

E’ interessante come le stesse intuizioni saltino fuori sia osservando il mondo esterno attraverso un telescopio o un microscopio, sia osservando il mondo interiore attraverso la meditazione. Questa visione coincide totalmente con quella buddhista: 2500 anni fa il Buddha disse “la forma è vacuità, la vacuità è forma. Forma e vacuità non possono essere separate”. Oggi i praticanti della Via di Diamante potrebbero esprimere questa verità in questo modo: se niente è presente, diciamo che è l’essenza simile allo spazio della mente. Se qualcosa appare, sia al livello esterno che interiore, è il libero gioco della mente. Il fatto che possano apparire entrambe le esperienze ne è la sua espressione illimitata.

Alain Aspect ha dimostrato il principio di “non località” nel mondo quantistico. Le particelle possono comunicare istantaneamente, e lo scambio di informazioni avviene senza alcun intervallo temporale. Tu consideri il suo famoso esperimento anche come una prova delle verità buddhiste…

Scoperte come queste rimuovono le abitudini dualistiche; aggiungono una dimensione liberatrice e inclusiva alla visione discriminante ed esclusiva necessaria alla sopravvivenza, secondo cui viene presa in considerazione solo una possibilità.

C’è anche un’altra conclusione scientifica fondamentale che sembra familiare al Buddhismo… Prima dell’osservazione, il gatto di Schrödinger non è né vivo, né morto, o per meglio dire potrebbe essere sia vivo che morto. In qualsiasi modo la vediamo, il fatto è che la natura di ogni cosa non può essere determinata in se stessa, indipendentemente dall’osservatore. L’osservatore o i metodi di osservazione influenzano il risultato dell’osservazione.

Sì, il fatto stesso che qualcosa venga osservata ne determina il cambiamento; l’osservatore influenza e colora ogni esperienza. Il Buddha ha dato delle spiegazioni molto precise e dettagliate sulla scienza della percezione, contrapponendo la “normale” percezione inferenziale alla percezione “diretta” che si ha quando la mente è in uno stato non concettuale.
Il Buddhismo considera questo mondo, la nostra vita e tutto quello che è intorno della stessa natura di un sogno. Questo perché le situazioni cambiano costantemente e niente è destinato a durare. Niente dimora in se stesso o può essere determinato solo attraverso se stesso. Poiché ogni cosa appare, cambia e si dissolve, il mondo intero viene visto come un sogno collettivo risultante dalle forme di pensiero in costante mutamento (karma) degli esseri. Durante uno stato di meditazione profonda, si può sperimentare come l’orgoglio collettivo faccia sorgere tutto quanto è solido; come la rabbia degli esseri produca le cose fluide; come i nostri attaccamenti e desideri portino il calore; e come la gelosia collettiva sia la fonte dei movimenti come il vento. Attraverso questa realizzazione, ignoranza e confusione si dissolvono, e lo spazio si trasforma da qualcosa che separa in un contenitore che unisce tutto. Non esiste un mondo separato dagli esseri che lo sognano, lo trasformano e lo sperimentano.

L’osservatore modifica l’oggetto osservato, perché ogni cosa è parte della stessa totalità. Perciò ogni distinzione che rende soggetto e oggetto come entità separate e indipendenti risulta artificiosa. Tuttavia, poiché non conosciamo ancora la mente, i sensi ci forniscono continuamente l’informazione opposta. Creare continuamente questa distinzione è uno schema mentale forte e consolidato nel tempo. Sono necessari anni di meditazione per poterlo rompere o seriamente intaccare.

Abbiamo parlato molto delle similitudini tra Buddhismo e scienza. Ovviamente, però, esistono anche delle differenze. Sarà mai possibile provare scientificamente i più alti insegnamenti buddhisti, cioè che spazio e gioia sono inseparabili?

A meno che non si possa misurare oggettivamente che il libero gioco di ciò che accade è in essenza gioioso, questo tipo di intuizione può essere verificata solamente da esseri viventi durante la meditazione e la vita. Spazio e gioia sono inseparabili, anche se è necessario lasciare andare ogni aspettativa per poterlo percepire. Gli yogi definiscono lo stato di gioia spontanea come qualcosa di estremamente significativo, pieno di amore e felicità, una ricchezza illimitata che le parole non possono descrivere e che probabilmente non sarà mai possibile provare scientificamente.

Hai sempre detto che il Buddhismo non è psicologia, ma che la psicologia moderna è ispirata al Buddismo..

Il Buddhismo non è altro che le cose come sono, quindi se il livello della psicologia diventa buono abbastanza essa finisce per diventare Buddhismo…In realtà esiste un’ottima cooperazione tra i due approcci. La psicologia consente alle persone di spostarsi dalle loro proiezioni negative verso uno spazio mentale sano e vivibile. A partire da qui, il Buddhismo le conduce oltre le proiezioni e l’io, fino al riconoscimento di ciò che veramente sono.

La psicologia moderna lavora con gli stati ordinari della mente. Attraverso questi stati il dualismo viene sperimentato come reale e si tende a prendere per reali gli stati emotivi che invece sono in costante mutamento. Fino a che si ha questa tendenza, la radiosità consapevole che sta tra e oltre i pensieri e le emozioni non potrà manifestarsi. Ad un certo punto, tuttavia, la quantità diventa qualità ed è possibile risvegliarsi nello stato di liberazione e illuminazione solo attraverso le esperienze positive, poiché quelle negative creano blocchi e causano sofferenza. In altre parole, la mente riconoscerà se stessa in modo naturale da uno stato di surplus e di buone sensazioni, mentre non potrà farlo se è in uno stato di nevrosi e paura.

In definitiva, anche se si crede che le esperienze mutevoli siano reali, i pensieri e le sensazioni positive sono la via giusta. Una volta che sorge la consapevolezza su ciò che produce e conosce i pensieri, speranze e timori si dissolvono. Tutte le esperienze diventano fantastiche perché mostrano il potenziale della mente.

Affermi anche che il Buddhismo non è una filosofia. Tuttavia è possibile rintracciare delle similitudini tra il pensiero buddhista e ad esempio la filosofia di Eraclito, che usa addirittura gli stessi esempi del Buddhismo…

Sì, Eraclito ha vissuto poco dopo il Buddha ed era un uomo coraggioso e abile. Entrambi, Eraclito e il Buddha, non hanno cercato di liquidare le cose incomprensibili etichettandole come “Dio”, ma hanno ipotizzato che lo spazio fosse per sua natura pregnante, per sua essenza fertile e ricco di pensieri ed emozioni, sia internamente che esternamente, ricco di universi e di fenomeni. Poiché si lavora con la totalità della mente e non è un sistema basato sulla fede, tutto nel Buddhismo dovrebbe essere logico e spiegabile. Quando la mente funziona nella sua totalità, ogni domanda contiene in sé la sua risposta e tutti i processi mentali sono convincenti dal punto di vista logico. La differenza tra Buddhismo e filosofia è che il Buddhismo non è formale[[Qui Lama Ole si riferisce alla logica formale, che studia la struttura dell’argomentazione deduttiva indipendentemente dal suo contenuto (N.d.T.)]] e non prevede l’esistenza di categorie vuote che non possano essere colmate dall’esperienza. La filosofia buddhista lavora con la vita reale. Perfino la più complicata teoria buddhista non apporta del bagaglio intellettuale aggiuntivo, ma mira a rompere gli schemi di pensiero che impediscono agli esseri di sperimentare il pieno potenziale della mente. Sin dall’inizio, i filosofi buddhisti sono consapevoli del fatto che i concetti sono come un dito che indica la luna, ma non la luna stessa. Se ci si focalizza solo sul dito, non si vedrà mai la luna.

Cosa pensi della medicina tibetana e di quella occidentale? Sono in antitesi o possono essere combinate?

Direi che sono in grado di lavorare molto bene insieme. La medicina occidentale è ottima per tutto quello che richiede una decisione rapida, malattie gravi e interventi chirurgici. L’approccio orientale è ottimo per le malattie croniche e per ripristinare degli equilibri. Si combinano alla perfezione. Se qualcuno ha il cancro, ad esempio, suggerirei di rimuovere prima di tutto la causa e poi di ricreare il giusto equilibrio grazie alla giusta ricetta basata sulla medicina orientale.

Potremmo dire che la medicina tibetana lavora maggiormente con le cause, mentre quella occidentale con i risultati?

Si, probabilmente questa distinzione rende bene l’idea. Si potrebbe anche dire che la medicina dell’estremo oriente lavora sul riequilibrio del corpo e su condizioni a lungo termine, mentre la medicina occidentale si occupa efficacemente delle condizioni urgenti.

La scienza porta dei benefici particolari ai praticanti buddhisti?

Ogni successo della scienza ha significato per il Buddhismo se usato per il beneficio degli esseri senzienti. Se gli esseri vivono più a lungo e meglio, possono fare di più per gli altri.

Quali campi della scienza potrebbero trarre beneficio dal Buddhismo in un futuro prossimo?

Credo la cosmologia, nel suo tentativo di formulare una comprensione generale dell’universo. Ci sono infiniti quesiti da sbrogliare, pezzi di informazione provenienti dal telescopio Hubble e da altre sorprendenti fonti che sarebbe utile far combaciare tra loro in modo significativo. In questo ambito, l’ampia visione buddhista della Via di Diamante sarebbe utile. Mostrerebbe che sia lo spazio che gli eventi sono mente e indicherebbe come essi sono correlati. Potrebbe essere di beneficio combinare chiari dati scientifici con una visione che comprende tutto.

Il modo di pensare degli scienziati basato su una logica lineare ha una eccellente motivazione. Se si parte dall’ipotesi che lo spazio sia senza inizio, è logico dedurre che, se si può provare l’esistenza di un “big bang”, allora devono essercene stati innumerevoli altri precedentemente. Questo è un punto di incontro con il Buddhismo, che sostiene che non può esserci stato un inizio assoluto; che lo spazio deve essere in essenza privo di ogni limite; che niente può essere aggiunto alla sua essenza senza tempo; che qualsiasi cosa possa essere stata collocata in un certo momento e luogo non può essere l’inizio di alcunché. Certi modelli ciclici, non lineari dell’universo presentati nell’Abidharmakosha spiegano le fasi dell’apparire e del dissolversi dell’universo nel corso di lunghissimi periodi di tempo chiamati kalpa.

Anche il concetto di universi paralleli è un ponte con il Buddhismo. Presuppone infiniti mondi che sorgono dal potenziale dello spazio, quindi rende relativa ogni limitazione alla propria consapevolezza.

Credi che il Buddhismo e la scienza possano collaborare in qualche modo?

Se li paragoniamo alle diverse parti di un corpo, il Buddhismo ne rappresenterebbe la testa e il cuore, mentre la scienza sarebbe le braccia, le gambe e gli occhi. La scienza spiega il “come” e rende la vita pratica delle persone più semplice. Il Buddhismo mostra il “perché” e rende le persone felici. Aiuta gli esseri a vivere, morire e rinascere meglio.

Einstein sosteneva che il Buddhismo è l’unica religione che rappresenta un sistema logico e coerente derivante dall’esperienza della realtà come un tutt’uno, e per questo in grado di aderire a degli standard scientifici. Potremmo dire che gli insegnamenti buddhisti più alti, quelli della Mahamudra, siano la scienza della mente?

Questo è chiaramente il caso. Se esiste una scienza della mente che osserva direttamente se stessa questo è l’insegnamento del “Grande Sigillo” e della “Grande Perfezione”, anche noti come Mahamudra e Maha Ati. La Mahamudra (o Chak Chen in tibetano) viene insegnata se il punto di partenza del praticante e la sua energia è il desiderio. La Maha Ati (o Dzog Chen in tibetano) viene insegnata se il punto di partenza del praticante è la rabbia. Se si usano consapevolmente queste energie per conoscere la realtà e la propria mente, si raggiunge l’illuminazione. Si tratta di metodi molto potenti che permettono di sperimentare lo spazio come gioia. Partendo da questa visione, ogni universo è il gioco cosmico dello spazio. Non esiste niente di più fantastico ed eccitante del radioso gioco della mente, il suo pieno potenziale che esprime se stesso come saggezza onnipervasiva, gioia spontanea e compassione attiva. Il Buddhismo della Via di Diamante è la scienza che porta a questa esperienza.

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